in una recentissima pronuncia della corte di cassazione, chiamata a valutare la fondatezza della condotta di un dipendente di un noto gruppo automobilistico, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, il quale adiva la giustizia civile in due occasioni: nella prima per ottenere la rideterminazione del TFR tenendo conto di alcune voci retributive percepite in via continuativa e, in seguito, per il ricalcolo del premio fedeltà. Ed entrambi senza motivare in alcun modo la scelta di “parcellizzare” i giudizi.
Il gruppo ricorre chiedendo la cassazione della sentenza della Corte territoriale. Questa aveva infatti accolto la domanda del lavoratore tesa al ricalcolo del premio fedeltà con inclusione dello straordinario prestato a titolo continuativo, in difformità dalla sentenza di primo grado, sull’assunto che entrambe le domande formulate dal lavoratore scaturiscono da un unico rapporto obbligatorio intercorrente con la società, ed avente ad oggetto il contratto di lavoro.
Rileva, inoltre, che il lavoratore, al momento dell’attivazione della prima vertenza, si trovava nelle condizioni di far valere entrambe le pretese e non aveva addotto alcuna ragione a sostegno della scelta di promuovere giudizi separati. In definitiva, afferma che la domanda, formulata per seconda, si ponga in contrasto col divieto di abuso del processo per indebito frazionamento, affermato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 23726 del 2007.
Il collegio della Sezione lavoro della Cassazione ha evidenziato che, con le decisioni rese nel 2013, indicate ai numeri 11256 e 27064, altri collegi avevano sostenuto che il sopra richiamato principio, in conformità del quale è vietato l’indebito frazionamento di pretese dovute in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, risulta finanche applicabile alle ipotesi ove siano avanzate differenti pretese creditorie derivanti da un unico rapporto di lavoro, fonte unitaria di obblighi e doveri per le parti, nonché produttivo di crediti collegabili unitariamente alla loro genesi. Siffatto collegamento, osserva il collegio, risulta maggiormente stringente in quelle controversie promosse a rapporto concluso, quando il complesso di obbligazioni derivanti dal contratto è ormai noto e consolidato. Non condividendo l’equiparazione dell’insieme dei rapporti obbligatori, retributivi e risarcitori, derivanti dal rapporto di lavoro, al “rapporto unico”, considerato dalla succitata sentenza delle Sezioni unite, né la sussistenza dei presupposti per imporre al creditore di agire in un solo contesto in relazione a crediti diversi connessi, in virtù di una complessiva relazione negoziale o legale, nonché dubitando che dalla proposizione in differenti giudizi di una pluralità di domande concernenti diversi crediti, pur riferibili allo stesso rapporto, possa farsi derivare l’improponibilità delle domande susseguenti alla prima, il predetto collegio ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni unite.
Le sezioni Unite rilevano che non bisogna valutare ipotesi per ipotesi, in relazione al bilanciamento degli interessi di ricorrente e resistente, l’azionabilità separata dei differenti crediti, né tanto meno accertare eventuali intenti emulativi ovvero indagare le condotte processuali del creditore agente sul versante psico-soggettivistico. Ciò che rileva, a dir del massimo consesso, è che il creditore vanti un interesse oggettivamente valutabile alla proposizione separata di azioni relative a crediti afferenti lo stesso rapporto di durata, ed inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato, oppure fondati sull’identico fatto costitutivo. Inoltre, sul piano della dialettica processuale, appare indubbio che al creditore procedente debba essere consentito di dar prova, ed argomentare, ogni volta che la parte convenuta evidenzi la necessità di siffatto interesse e ne denunci la mancanza. Ove il convenuto nulla abbia allegato o dedotto in proposito, il giudice che rilevi ex actis la necessità di un interesse oggettivamente valutabile al “frazionamento” e ne metta in dubbio l’esistenza, dovrà indicare la questione ai sensi dell’art. 183 del codice di rito civile e, se del caso, riservare la decisione ed assegnare alle parti termine per memorie in ossequio al principio del contraddittorio.
Infondatezza della questione. Considerato che la domanda proposta dal lavoratore era intesa al ricalcolo del premio fedeltà con inclusione dello straordinario prestato a titolo continuativo, mentre la domanda proposta per prima, ma comunque a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, era intesa ad ottenere la rideterminazione del TFR tenendo conto di alcune voci retributive percepite in via continuativa, il ricorso della società non è stato reputato fondato.
Il principio di diritto. «Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque “fondati” sul medesimo fatto costitutivo – sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale -, le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Ove la necessità di siffatto interesse (e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ai sensi dell’art. 183 c.p.c. e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle parti termine per memorie ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.c.».